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Il Trio – CanzoniPreludiNotturni: una recensione.

30 giugno 2010

Tanto tempo fa, in una leggendaria scuola di jazz del profondo sud, l’insegnante di musica d’insieme mise sul leggio del ragazzetto seduto al piano una partitura scritta a mano di ‘Blue in Green”.

Ora, se un po’ siete appassionati di jazz, sapete bene quanto si sia discusso sulla paternità di questo brano, che comparve per la prima volta sul leggendario ‘Kind of blue’ di Miles Davis a firma dello stesso Davis; si vociferava che in realtà’ Miles si fosse appropriato di una composizione che invece apparteneva in tutto e per tutto, per armonia, per modo, per ispirazione, alla sfera creativa di Bill Evans. (Lo stesso Evans più avanti raccontò di aver scritto quel brano da solo.)

Detto questo potete immaginarvi la faccia di quel ragazzetto seduto al piano nell’aula di musica d’insieme quando l’insegnante disse che quella partitura era l’originale del brano, consegnatagli da Bill Evans in persona, che ne aveva trascritto fedelmente il voicing degli accordi, quell’accostamento di note così particolare dentro il quale si incastrava lo splendido e malinconico tema.

Ormai l’avrete capito: il ragazzetto seduto al piano era il sottoscritto, e l’insegnante, tanto per inquadrarvi il personaggio, era Giovanni Tommaso. Per noi, all’epoca, Giovanni era il magico contrabbassista ‘elettrico’ del ‘Perigeo’ prima, e del ‘New Perigeo’ più tardi, uno che aveva suonato con tutti i grandissimi, con Sonny Rollins, Chet Baker, Dexter Gordon, e via così. E anche la citazione di Bill Evans non è casuale. Perché in questo CanzoniPreludiNotturni in uscita per AlfaMusic, in cui si fondono insieme gli strumenti di Enrico Intra (pianoforte), Giovanni Tommaso (contrabbasso) e Roberto Gatto (batteria), Bill Evans ci torna spesso in mente, per via di quel concetto nuovissimo che aveva introdotto nel jazz delle minime formazioni, il trio sopra tutte: il concetto di ‘interplay’.

Interplay era quando la gerarchia ‘leader – sidemen’  veniva abbattuta radicalmente, quando non esisteva più la sottile demarcazione tra tema, solo, stops, ecc. ma tutto diventava solismo, diventava arrangiamento, chiunque poteva essere leader in qualunque momento del brano. Interplay era riportare le voci di Bach nel jazz moderno, e usare gli strumenti non più come abbellimenti, o accompagnamento, ma proprio come voci autentiche della composizione.

Il concetto di questo lavoro de ‘Il Trio’ (questo il nome sulla copertina) è tutto qui. Non aspettatevi canzoni, standards, non aspettatevi strutture predefinite, non aspettatevi tema/soli/tema/coda, non aspettatevi nulla di quello che avete in mente. Semplicemente, piazzate il disco nel lettore, chiudete gli occhi e lasciatevi trasportare. La musica è un flusso di eventi, una serie di convoluzioni dell’aria, causate dagli strumenti, che arrivano fino alle vostre orecchie, nient’altro. Ed è lo sforzo di arrivare a queste radici primarie, che colpisce in questo disco. E’ come ascoltare tre persone che stanno parlando contemporaneamente e all’inizio ti sembra di non capire nulla, ci vuole un po’ per calarsi, non è un ascolto facile, soprattutto se tenti in ogni modo di capire dove stanno andando a parare. Il segreto è lasciarsi andare, mollare la presa, smettere di fare l’ascoltatore smaliziato, quello che vuole capire ad ogni costo. Non c’è nulla da capire. C’è solo da abbandonarsi. E così si scopre un mondo tutto nuovo, percorsi che non si sono mai battuti, sconfinamenti nel free, rientri nella musica popolare, angoli pieni di colori, affreschi di  note.

Chi siano i personaggi coinvolti nell’operazione è presto detto. Di Tommaso ormai sappiamo, Gatto è un altro grandissimo del jazz italiano, probabilmente il più noto in assoluto, dopo aver collaborato anche lui con Chet Baker, e in qualche leggendaria performance con Pat Metheny, con i Lingomania, con Joe Lovano, Fiorentino, Fresu, Ciotti, la Marcotulli, la De Vito, e così via. Infine c’è Enrico Intra, che è un nome che a un sacco di gente non dice nulla, perchè come tutti i grandissimi, non ha mai fatto nulla per comparire a tutti i costi. Potrei dirvi ad esempio che il famoso Derby club di Milano, quello del cabaret, all’inizio si chiamava Intra’s Derby Club, perchè lo ha fondato lui. Oppure potrei dirvi delle sue composizioni suonate da Gerry Mulligan, della sua direzione delle migliori orchestre italiane incluse quelle di Sanremo. Oppure quando venne piazzato tra i migliori pianisti europei dalla rivista francese ‘hot jazz’. E ancora tutto questo non gli farebbe giustizia.

Non posso spiegarvi di più: l’unica cosa che potete fare, amici di Romainjazz, è andarvi a cercare questo disco, perchè c’è Il Trio. E Il Trio, non un trio, non l’XYZ trio, significa i tre musicisti più rappresentativi nella rispettiva categoria, gente che potrebbe raccontarvi la storia del jazz italiano meglio di chiunque altro. E quando avete il disco, non tentate di seguirli. Semplicemente abbandonatevi, e lasciatevi invadere dalla Musica.

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