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Ettore Fioravanti 4et al 28divino

12 ottobre 2010

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Può il linguaggio del Jazz fondersi con la musica pop, con quella d’autore e magari anche con le sonorità psichedeliche? Che ci crediate o no, la risposta è si. E la dimostrazione tangibile di quanto abbiamo appena detto la troviamo nel quartetto di Ettore Fioravanti (Ettore Fioravanti 4et), composto dall’omonimo batterista, da Francesco Allulli al sax, da Marco Bonini alla chitarra e da Francesco Ponticelli al contrabbasso. L’occasione di poter ascoltare questa formazione che ama mescolare queste sonorità ci si è presentata venerdì scorso al 28divino jazz club e, visti anche i precedenti, non ce la siamo lasciata sfuggire.

Quindi, torniamo per un momento alla domanda iniziale ed entriamo nel dettaglio. Come fa questo quartetto a far confluire musiche così eterogenee in un unico discorso? Cominciamo col dire che per fare una cosa del genere, ci vuole un gruppo ben consolidato e uno studio quasi maniacale degli interventi strumentali, senza il quale quei silenzi e quelle pause non avrebbero lo stesso effetto. Diciamo, poi, che la voglia di sperimentare ce la devi avere un po’ nel sangue, nel senso che devi essere aperto a confrontarti con stili diversi, e per finire devi essere anche capace di farli confluire in un discorso che abbia un filo logico. E queste caratteristiche il quartetto le possiede proprio tutte quante, insieme ad una buona dose d’ironia che sul palco non guasta proprio per niente.

E veniamo alla serata di venerdì. Il concerto comincia con le note della chitarra di Marco Bonini, un inizio quasi in sordina, con una musica distesa e rilassata, seguito dagli altri componenti che entrano quasi in punta di piedi, senza che ci sia qualcuno che prevalga e creando un’atmosfera adatta all’apertura di un sipario. Proprio come Un’aria di Vetro, titolo di questo primo brano. Poi, quasi a spiazzarti, il basso comincia con un ritmo sincopato che si incastra perfettamente con il tempo della batteria, una musica concitata, molto differente da quella precedente, ma, come vi avevamo accennato in precedenza, è proprio questa la caratteristica del quartetto, quella di non dare punti di riferimento. E quindi, stando a questa filosofia, la musica prosegue, ti prende sempre di più e arriva anche il gioiellino di questo primo set.

Poco prima della pausa, infatti, il gruppo presenta una versione del tutto personale di A walk on the Wild Side, il capolavoro di Lou Red, che ovviamente viene arrangiato in chiave jazz. E questa volta la musica d’insieme, con gli interventi suonati al punto giusto, sostituisce le parole del cantautore americano, fondendosi con la musica pop e allargandosi anche all’improvvisazione. La seconda parte del concerto, invece, è senza dubbio quella più sperimentale, quella in cui vengono toccate le sonorità più particolari che ci fanno capire la vera anima del quartetto. Il brano che ci ha colpito di più, infatti, si chiama Strategia della Tensione. Immaginate una chitarra distorta incastrata perfettamente con il timbro di un sassofono che ci ricorda le sirene della polizia o se preferite un disco volante che sta per atterrare sul pianeta terra. Immaginate tutto questo, che naturalmente viene accompagnato da un ritmo incalzante e deciso, e ottenete la strategia della tensione secondo l’Ettore Fioravanti 4et, una musica che certamente non si allontana dal jazz e che, allo stesso tempo, abbraccia le sonorità più sporche della musica psichedelica. Ed il risultato di questa serata è qualcosa di atipico, di sublime, una sperimentazione che va anche verso il pop e che, grazie all’alchimia dei componenti del quartetto, acquista un’identità ben definita.

Carlo Cammarella

foto di Roberto Panucci

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